Rinuncia all’eredità
La rinunzia all'eredità è una dichiarazione del delato all’eredità con la quale viene dismesso il diritto di accettare l’eredità offertagli dal de cuius. La rinunzia non comporta anche la rinuncia ai legati in quanto le delazioni sono distinte.
Sono sostanzialmente due le teorie in merito alla natura giuridica della rinunzia: secondo la più risalente, avvallata anche dalla Cassazione, il legislatore parlerebbe in modo improprio di rinunzia poiché si tratterebbe in verità di rifiuto impeditivo: il delato non dismette ma respinge i diritti offertigli (arg. ex artt. 521 e 525); secondo altra parte della dottrina (Santoro-Passarelli), da ritenersi preferibile, il legislatore parla correttamente di rinunzia abdicativa in quanto l’oggetto dell’atto è il diritto di accettare che è già entrato nel patrimonio del delato.
La rinunzia è un negozio giuridico unilaterale non recettizio inter vivos, formale (art.
519), causalmente neutro, limitatamente revocabile poiché il chiamato può revocare la rinunzia fino a quando i
chiamati ulteriori non abbiano accettato l’eredità, atto di straordinaria amministrazione, non personalissimo e
pertanto può essere compiuto a mezzo del rappresentante legale o volontario (artt. 320 e 374). Esso è altresì un actus
legitimus al pari dell‘accettazione (art. 520).
Legittimati attivi sono solo i delati attuali. Si discute se il beneficiario di amministrazione di sostegno debba essere
autorizzato: è un soggetto capace e pertanto si deve leggere se il decreto di nomina abbia eventualmente richiamato la
disciplina dell’interdizione e inabilitazione. Come non possono accettare, i nascituri non possono rinunziare.
Possono pacificamente rinunziare le persone giuridiche, il che avveniva anche senza autorizzazione da parte della
pubblica autorità quando questa era prevista per l'accettazione.
Il legislatore non pone un termine ad quem entro cui rinunziare: benché parte della dottrina ritenga che tale diritto
sia imprescrittibile, pare sia coincidente con il termine per accettare l’eredità.
Vi sono anche casi in cui il delato perde il diritto di rinunziare (decadenza dal diritto di rinunziare):
- chiamato nel possesso che non ha compiuto l’inventario entro tre mesi o, se ha già fatto l’inventario, non accetta successivamente;
- sottrazione beni del patrimonio ereditario.
L’art. 519 impone che la rinunzia debba farsi con dichiarazione ricevuta dal notaio o dal cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione e deve essere iscritta nel registro delle successioni ai fini dell’opponibilità ai terzi (art. 52 disp. att.). È pertanto un negozio solenne che tuttavia non richiede la presenza dei testimoni, giusta l’art. 1, comma 1, n. 2 r.d. 1666/1937.
Si discute se la rinunzia abbia effetto al momento della dichiarazione o al momento della sua inserzione nel registro delle successioni: secondo una risalente opinione (Azzariti), la rinunzia è nulla se non è inserita nel registro delle successioni; Secondo l’opinione preferibile, l’inserimento nel registro delle successioni ha la sola funzione di opposizione ai terzi, ma l’atto è valido (arg. ex art. 1, comma 2, r.d. 1666/1937). È chiaro che non è soggetta a trascrizione nei registri immobiliari poichè non vi è dismissione di diritti immobiliari ma solo del diritto di accettare. È tuttavia da ricordare che l’art. 2662 impone la menzione nel quadro D della nota di trascrizione dell’atto di acquisto a causa di morte con l’indicazione degli estremi dell’atto e del nominativo (cfr. circ. 128T/1995, che prevede comunque un codice ad hoc per un'eventuale trascrizione della rinunzia ai meri fini tuzioristici e per prassi risalente). In caso invece di rinunzia di legato avente ad oggetto diritti immobiliari rilevante è la pronuncia delle Sezioni Unite del 2011 (est. Mazzacane) che impone la forma scritta giusta l’art. 1350 n. 5. Secondo infatti la tesi seguita, la rinunzia al legato risolverebbe ex tunc gli effetti di un acquisto già verificatosi in capo al legatario. Si tratterebbe di un’ipotesi di rinunzia abdicativa o eliminativa, che renderebbe attuale un ritorno del bene alla massa ereditaria oppure un’eventuale chiamata in sostituzione. Il principio di libertà delle forme rimane invece nel caso in cui il legato non abbi ad oggetto beni immobili. Altra parte della dottrina qualifica invece la rinunzia de qua non come atto di dismissione di un diritto già acquisito, ma un atto impeditivo dell’acquisto stesso che si frappone all’attuarsi della fattispecie acquisitiva.
Gli effetti della rinuncia sono disciplinati dall’art. 521 il quale dispone che colui che rinunzia all’eredità è come se non fosse mai stato chiamato. La norma è da coordinarsi con l’art. 525 e interpretata pertanto nel senso che la sua operatività definitiva si avrà solo a seguito dell’acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati. Medio tempore la rinunzia causa immediatamente la perdita dei poteri ex artt. 460 e 486. Le spese eventualmente sostenute per l’amministrazione compiuta prima delle rinunzia dovranno essere rimborsate al rinunziante quel negotiorum gestor. Il rinunziante può tuttavia ritenere la donazione o il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile, salvi i casi del legato in sostituzione di legittima e di quello in conto di legittima. L’art. 522 dispone che: “Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce al coloro che avrebbero concorso con il rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione” e il concorso di genitori o ascendenti con fratelli e sorelle.
L’impugnazione della rinuncia da parte dei creditori è disciplinata dall’art. 524. Nonostante la littera legis, il chiamato non diviene erede: la norma non configura un’impugnazione della rinuncia, ma ha la sola funzione di consentire l’opposizione all’atto abdicativo del chiamato. È pertanto uno strumento di carattere processuale di tutela del credito. Non è pertanto né un’ipotesi di azione revocatoria (in quanto non è necessaria l’intenzione di frode ai creditori né si mira alla dichiarazione di inefficacia dell’atto, ma al recupero dei beni) né surrogatoria (in quanto non si tratta di reagire all’inerzia del titolare del diritto né a far rientrare i beni nel patrimonio del rinunziante). Al ricorrere di questi presupposti, in forza dell’autorizzazione (rectius: sentenza) del Tribunale il creditore che risulti tale al momento della rinunzia, entro il termine di prescrizione di cinque anni, può compiere azione esecutiva sui beni che sarebbero pervenuti in successione al chiamato. Il chiamato in subordine si trova pertanto ad aver acquistato dei beni che sono vincolati a garanzia di un debito altrui (è litisconsorte necessario) e potrà dunque surrogarsi nei diritti dei creditori soddisfatti ai sensi dell’art. 1203, nn. 2 e 3.
La tassazione è la seguente:
- Euro 200,00 di imposta di registro
- Euro 45,00 di imposta di bollo
- Euro 2,00 per l’iscrizione a repertorio
- Euro 4,60 di tassa archivio
- Euro 16,00 di marca da bollo per l'iscrizione dell'atto nel registro delle successioni